MERCOLEDI DELLA PAROLA

14 DICEMBRE 2005

Riflessione mercoledì 14 dicembre ’05

Proseguiamo la nostra lettura del vangelo di Gv. La nostra lettura per forza di cose non può essere una lettura continua, ma è piuttosto la scelta di solo alcuni testi tra i più significativi del quarto vangelo.

Mi sembra importante ricordare una premessa:

Il vangelo di Giovanni non ha l’istituzione dell’Eucaristia nel contesto dell’ultima cena; al posto dell’istituzione dell’Eucaristia Giovanni ha la lavanda dei piedi, mentre fa il discorso sull’Eucaristia qui, al cap. 6, immediatamente dopo la condivisione dei pani. L’intento dell’autore è chiaro: Giovanni, essendo l’ultimo degli evangelisti, in ordine cronologico, aveva già intuito che nelle liturgie vi poteva essere una sorta di ritualismo o la tentazione di considerare le liturgie come un’azione magica. Giovanni vuole chiaramente opporsi alla “spiritualizzazione” dell’Eucaristia.

Una parola più in generale sul cap. 6 di san Giovanni, nel quale è inserito il brano di Vangelo che abbiamo letto.

Il cap. 6 è costruito in due parti: nella prima parte ci sono tre narrazioni; nella seconda c’è un lungo discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao, nel quale viene manifestato il significato degli avvenimenti. E gli avvenimenti sono questi:

Il vero “pane” è Dio

Questi, dicevo, i tre episodi, ai quali segue il racconto di un lungo discorso. Gesù attraversa il mare, va a Cafarnao, dove le folle lo raggiungono, e queste chiedono a Gesù come sia andato a Cafarnao.

«[26]Gesù rispose: In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. [27]Cercate non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo» (Gv 6, 26-27).

Siete entusiasti perché avete potuto mangiare pane in abbondanza, ma non fermatevi al pane, il dono del pane è solo un segno; quello che conta è il donatore del pane, il vero cibo è Lui. Quello che può davvero saziare la vostra fame, la fame che sta dentro al cuore dell’uomo, non è il pane che Gesù ha moltiplicato, ma è Lui che ha donato il pane.


 

Allora incomincia un lungo discorso e cerca di spiegare questa realtà.

«[32] (…) non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; [33]il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (Gv 6, 32-33).

Dunque, “il vero pane è Lui”. È vero che è pane e nutrimento perché viene da Dio, ed è capace di comunicare al mondo la vita di Dio. Se il pane materiale dà la vita del mondo (con quelle calorie che ci trasmette perché nutre il sangue del nostro organismo), il pane che viene da Dio ci nutre con quella vita che è la vita stessa di Dio, e questo pane si identifica con Gesù.

Bisogna però (dice in questo discorso) accostare Gesù nel modo giusto. E “in modo giusto” vuole dire: non come l’hanno accostato i Giudei di cui si parla in precedenza, che hanno accostato Gesù per avere da lui dei vantaggi, il pane materiale. Se uno vuole accostare davvero Gesù, deve lasciarsi attirare da Dio. Quindi uno non si deve lasciare portare dai suoi desideri e dai suoi bisogni, ma deve lasciare che i desideri di Dio diventino suoi, e che la volontà di Dio diventi il suo progetto di vita. Allora “Gesù diventa un pane”, e diventa un “pane” capace di saziare il bisogno dell’uomo; ma bisogna essere attirati da Dio.

II.
«Io sono il pane della vita»

Ora andiamo alla affermazione centrale del brano che abbiamo ascoltato:

«[48]Io sono il pane della vita» (Gv 6, 48).

È una delle sette affermazioni del vangelo di San Giovanni dove si manifesta l’identità di Gesù:

«Io sono il pane della vita» (Gv 6, 48),

«Io sono la luce del mondo» (Gv 8, 12),

«Io sono la porta delle pecore» (Gv 10, 7),

«Io sono il buon pastore» (Gv 10, 11),

«Io sono la risurrezione e la vita» (Gv 11, 25),

«Io sono la via, la verità, la vita» (Gv 14, 6),

«Io sono la vera vite» (Gv 15, 1).

E tutte queste espressioni le potreste leggere in questo senso: “Il pane della vita sono io”. Cioè quel pane – quel nutrimento, che è capace davvero di comunicare la vita all’uomo, e quindi che è capace di vincere quella malattia mortale che l’uomo si porta dentro del suo egoismo e del suo peccato –, quel pane sono io.

Oppure, in altri termini, è una provocazione: Gesù si presenta come la risposta vera al bisogno di vita che c’è nel cuore umano.

L’uomo ha bisogno di tante cose: ha bisogno di cibo e di bevanda, ha bisogno di amicizia e di lavoro, ha bisogno di casa e di vestito… Ma, secondo il Vangelo di san Giovanni, dietro a tutte queste necessità, bisogni della vita dell’uomo, c’è un unico grande desiderio: è il desiderio di Vita! Vita con la “V” maiuscola, cioè di una esistenza che sia ricca, che abbia senso, che sia piena, che dica qualche cosa, che realizzi il bisogno dell’uomo di essere, di esistere, di valere.

Ebbene, la risposta a questo desiderio è Gesù, o perlomeno Gesù pretende di esserlo. Quando dice che «il pane della vita sono io», vuole dire: non andarlo a cercare da altre parti, non ti accontentare del pane della tavola e non cercare tutti quei “pani” o nutrimenti falsi o insufficienti che puoi trovare nel mondo: «il pane della vita sono io».

E per spiegare questo riprende un riferimento a quel cap. 16, 2-15 dell’Esodo, che abbiamo ascoltato come prima lettura:

«[49]I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; [50]questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia» (Gv 6, 49-50).

E vuole dire: il pane che veniva donato agli Israeliti, dopo il passaggio del mare, cioè la “manna”, era un nutrimento dell’organismo del corpo, ma proprio per questo non faceva altro che sostenere l’organismo fino al suo termine che è inevitabilmente la morte, perché l’organismo biologico dell’uomo siccome è nato deve prima o poi morire, può semplicemente sostenere un po’ il cammino fino verso la morte, ed è naturale che sia così. E la “manna” operava esattamente questo, quindi dava la vita, ma Dio con la manna dava degli scampoli di vita, dei pezzettini, qualche anno in più, qualche giorno in più.

Invece «questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia». “Discende dal Cielo”, potreste scrivere “Cielo” con la “C” maiuscola: un nutrimento che viene da Dio, e quindi non è solo nutrimento dell’organismo umano, ma riempie l’uomo della vita che viene da Dio. E la vita che viene da Dio non è provvisoria, come quella dell’organismo biologico, ma è definitiva, come è definitivo ed eterno Dio.

Allora siamo di fronte ad un pane diverso, è pane ugualmente, è nutrimento anche questo, ma non è il nutrimento del corpo biologico, è nutrimento dell’uomo con la vita che viene da Dio.

«[51]Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se qualcuno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6, 51).

Questo nutrimento di cui parliamo è Gesù, proprio perché viene da Dio, è disceso dal Cielo. È in riferimento chiaramente all’Incarnazione: Gesù appartiene al mondo con la sua carne, ma in realtà viene da Dio.

Allora, quella realtà umana di Gesù è capace di trasmettere una vita, che è vita non semplicemente mondana, ma quella che Giovanni chiama “vita eterna”. Con il termine “vita eterna” non intendete semplicemente una vita che non finisce mai, che sarebbe la nostra vita ma prolungata all’infinito. Ma non è questa, perché la nostra vita prolungata all’infinito diventa una vita lunghissima, ma rimane debole, povera, ignorante, limitata, fragile… e tutte queste cose. Invece la “vita eterna”, di cui parliamo, è la vita stessa di Dio, quindi certamente una vita che non finisce mai, ma molto di più: una vita che è fatta di verità, di bontà, di amore, di santità, di giustizia… di tutte queste dimensioni; questa è la vita eterna che Gesù, in quanto venuto da Dio, è capace di trasmettere.

III.
La carne di Gesù è la carne del Verbo

«Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Si dice che questo piccolo versetto, «il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo», è la traduzione giovannea delle parole di Gesù nell’”ultima cena”: le parole sul pane nella istituzione della Eucaristia. Il tema dell’Eucaristia in Giovanni è quello nel brano che abbiamo ascoltato, ed è in queste parole fondamentali: «il pane che io darò» – cioè quel pane che può dare la vita eterna – «è la mia carne per la vita del mondo».

1. La carne

«La mia carne», fa riferimento al quel versetto del Prologo che dice:

«[14]E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1, 14).

Dunque, si tratta di carne, ma questa “carne” è la carne del Verbo, cioè della parola eterna di Dio, della parola onnipotente e ricca di amore di Dio; ed è quella parola lì che si è fatta carne. E proprio per questo, la carne di Gesù, è carne capace di trasmettere la vita di Dio. È carne umana, quindi è sottomessa alla debolezza, alla morte. Però misteriosamente è la carne del Verbo, e il Verbo non può morire. La parola di Dio è una parola eterna. Allora la carne che Gesù dona è la sua vita, che è capace di dare la vita di Dio, perché è vita offerta per la vita del mondo.

Ebbene, Gesù la sua vita l’ha donata perché il mondo possa vivere, e vivere della vita unica e vera che è la vita di Dio. Per questo, dicevo, Gesù ha donato se stesso.

2. Il mangiare l’Eucaristia vuole dire: accogliere la carne del Signore, mangiare e bere, perché possiamo avere in noi quella vita che viene da Dio come un dono.

«[53] (…) In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. [54]Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6, 53-54).

Vuol dire: tu puoi mangiare e bere tutto quello che vuoi, ma fin che “mangi e bevi il mondo” – perché lo guardi, lo assimili, lo gusti, lo sperimenti, lo possiedi, lo comperi, lo vendi… per tutto questo –, cioè fino a che quello che tu gusti, mangi e bevi è il mondo, non c’è dubbio questo può sostenere la tua esistenza biologica o psicologica, ma finirà inevitabilmente, dovrai morire, e in ogni modo rimarrà una esistenza fragile di egoismo. Perché dentro la realtà del mondo l’egoismo è iscritto in profondità e non riesci quindi a liberarti del tutto, a darti una vita autentica e piena. Ma se “tu mangi la carne del Figlio dell’uomo e bevi il suo sangue”, vuole dire: una carne che appartiene al nostro mondo, però è la carne del Verbo; appartiene alla nostra esperienza, però ci comunica l’amore di Dio.

La carne di Gesù è ricca dell’amore di Dio, perché è una vita donata, “è una vita per”. Se tu mangi quella carne, la tua vita diventa “una vita per”. E se è “una vita per”, cioè una vita riempita dall’amore, è una vita che assomiglia a quella di Dio. E se assomiglia a quella di Dio non muore, ma ha acquistato una qualità nuova, una perfezione nuova, che si esprime nella dimensione della eternità .

Allora, il dono straordinario è questo: che noi in questo mondo, quindi dentro le realtà dello spazio e del tempo, possiamo però entrare in contatto con la carne di Cristo, e quindi con il Verbo di Dio che si è fatto carne nella carne di Cristo, e quindi possiamo entrare in contatto con la vita di Dio, che il Verbo di Dio possiede. Questo avviene attraverso tutta l’esperienza cristiana: avviene attraverso la fede. “Credere”, vuole dire: accogliere la carne di Cristo come carne portatrice del Verbo. E questo avviene in modo particolare nella Eucaristia.

«[54]Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6, 54).

Nell’Eucaristia ci viene messo dentro un germe, un gene, che è il gene dell’eternità, perché è il gene dell’amore che viene da Dio; è il gene della vita non egoistica, ma aperta al dono di sé.

3. Quando il nostro comportamento è animato dalla carità, rimaniamo in Gesù e Gesù rimane in noi, apparteniamo a Gesù e Gesù appartiene a noi.

«[55]Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. [56]Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. [57]Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6, 55-57).

«La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda», vuole dire che Gesù è davvero dono di Dio agli uomini: Gesù lo ha mandato come dono, perché gli uomini attraverso di lui possono vivere della vita stessa di Dio, possono amare dell’amore stesso di Dio. Quindi, «la mia carne è vero cibo», cioè è davvero l’umanità di Gesù capace di nutrire l’esistenza dell’uomo, e di mettere dentro la fragilità dell’esistenza umana la vita di Dio.

«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui», che è una delle espressioni più tipiche del Vangelo di san Giovanni. Tutte le volte che nel Vangelo di san Giovanni leggete le parole: “dimorare”, “abitare” e “rimanere” è la stessa parola, la stessa espressione attraverso cui san Giovanni vuole dire che tra Dio e noi, attraverso Gesù Cristo, si stabilisce una comunione così profonda che è più grande di qualunque comunione che si possa realizzare sulla terra (nel mondo), più grande di ogni amicizia e di ogni rapporto sponsale, più grande di ogni patto e più intima di quanto possiamo immaginare.

Cristo è in noi e noi abitiamo in lui, come se Cristo diventasse uno spazio dove andiamo a porre la nostra umanità, e quindi respiriamo un’aria diversa, quella di Cristo; ci nutriamo di un amore diverso, quello di Dio attraverso Gesù Cristo.

E questo discorso del “rimanere” non pensatelo come riferito a particolari momenti di esperienza estatica o mistica – ci sono nella vita dei mistici, dei grandi santi – dei momenti in cui si esce in qualche modo dalla propria umanità e si vive una comunione, un senso di profonda intimità con Dio; sono grazie particolari che sono date a Santa Tersa di Gesù, a San Giovanni della Croce, ai grandi Santi. Ma Giovanni non parla di questo, ma parla della vita quotidiana, parla di quando siamo qui in chiesa come stasera, di quando siamo in casa a chiacchierare e a parlare e a confrontarci, di quando siamo al lavoro, di quando incontriamo gli altri… in tutto questo quotidiano, vissuto normale, lì il Signore rimane in noi e noi rimaniamo in lui.

Il segno è la “carità”. Quando il nostro comportamento è animato dalla carità – e quindi le parole che diciamo, i gesti e le scelte che facciamo, le relazioni e i rapporti che nutriamo… quando sono animate dalla carità – rimaniamo in Gesù e Gesù rimane in noi, apparteniamo a Gesù e Gesù appartiene a noi.

4. Abbiamo ricevuto e riceviamo dal Signore il dono della sua vita, è la sua carne per la vita del mondo, per noi; e se viviamo di quella vita gliela restituiamo nel nostro amore, nella nostra fede, nella nostra obbedienza.

«[57]Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6, 57).

Questo è un versetto infinito, e capire che cosa contiene richiederebbe chissà quanta contemplazione. Gesù viene dal Padre, è mandato dal Padre, tutta la sua vita l’ha ricevuta dal Padre, tutta la sua esistenza e il suo amore è dono del Padre. Allora se Gesù vive, vive a motivo del dono del Padre, è quindi non può che vivere per il Padre, per piacere al Padre, per compiere la volontà del Padre, per esprime al Padre la riconoscenza del dono ricevuto, di quello che ha ricevuto… tutto!

“Come il Padre ha mandato me, e io vivo per il Padre, così colui che mangia di me vivrà per me”. “Colui che mangia di me”, vuole dire: colui che crede in “Gesù come Verbo di Dio fatto carne”, come Figlio di Dio mandato per noi, colui che crede questo e credendo questo accoglie la carne di Gesù Cristo – quindi ascolta le parole di Gesù e le fa sue, guarda le opere di Gesù e le ama e le assimila, accoglie il dono di Gesù, la carne di Gesù nel sacramento dell’Eucaristia e la mangia –, chi fa questo vive attraverso il dono di Gesù.

È il dono di Gesù che lo fa vivere, è il perdono di Gesù che lo fa vivere, è la sua misericordia e la sua bontà e la sua pazienza che lo sostiene e gli dà la forza di portare il peso del quotidiano. Vive per mezzo di Gesù, ma, se vive per mezzo di Gesù, vive per Gesù. Cioè ha Gesù come interesse profondo della sua vita. E a Gesù porta i suoi pensieri e i suoi sentimenti e i suoi desideri e le sue scelte e i suoi comportamenti e i suoi pentimenti e i suoi ricominciamenti… Cioè tutto quello che costituisce la trama della sua vita lo porta davanti al Signore perché gli appartenga.

È un dono reciproco, i doni tendono sempre ad essere reciproci: abbiamo ricevuto e riceviamo dal Signore il dono della sua vita, è la sua carne per la vita del mondo, per noi; e se viviamo di quella vita gliela restituiamo nel nostro amore, nella nostra fede, nella nostra obbedienza.

«[57]Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6, 57).

Ecco, credo che basterebbe questo per dare un senso grande alla nostra esistenza, ma evidentemente bisogna che questa parola la mangiamo, la assimiliamo, la gustiamo, la allarghiamo fino a che raggiunga tutti i nostri comportamenti, tutte le esperienze della nostra vita quotidiana.

«[58]Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno» (Gv 6, 58).