ALBERTO ATTOLINI

MINGULIN


 

Come ho già avuto modo di dire, l' infanzia dei bambini di Villa è stata abbastanza

povera, e forse anche per questo serena e felice.

Avevamo tutto: il tempo e lo spazio a disposizione erano enormi, della libertà poi non parliamo, bastava non oltrepassare quei limiti non detti, che non conoscevamo, ma che chissà perchè rispettavamo.

Abbiamo avuto perfino Mingulin.

Era un ometto magro, di età indefinibile: per noi bambini era un vecchietto, ma adesso

che ho perso le lenti del bambino, lo vedo come un “semplice” e giovane barbone di 60/65 anni.

Così come ho poi finalmente scoperto che Mingulin era semplicemente il diminutivo in dialetto di Domenico.

Dicevo che era un barbone, ma.... di paese, dove nessun sapeva con precisione cosa facesse per campare (salvo l' attività di cui vi dirò), se aveva avuto una famiglia e dei figli, e così via.

Il ricordo mi colora la sua dignità come totale e intatta, perchè evidentemente conviveva serenamente con l' Uomo e viceversa.

Non chiedeva elemosine, il desinare se lo voleva guadagnare in un modo o nell' altro, e me lo ricordo sempre vestito dignitosamente e pulito.

E allora si è messo a disposizione di noi bambini e delle nostre famiglie: quella che lo chiamava per usufruire delle sue prestazioni (mi accorgo che ne sto parlando come un professionista, ma a suo modo e nel suo campo lo era) regalava ai propri bambini (ma anche agli adulti!) una serata allietata dalle favole "raccontate come solo lui sapeva fare".

Ricordo che ce ne stavamo bravi ed eccitati, pendendo letteralmente dalle sue labbra, trasalendo ad ogni cambiamento di tono ed a ciascun verso degli animali, dell'orco e degli altri protagonisti della sua arte.

Quando la voleva esprimere al massimo, completava il racconto delle favole con le opportune ombre cinesi, proiettando sui muri l' ombra delle mani.

Non c'era sonno che tenesse, nessuno voleva perdere neanche una parola nè un gesto! E c'era quindi la gara di resistenza al sonno, che però inevitabilmente prima o poi ci vedeva tutti perdenti.

Solo allora, a platea deserta, Mingulin cessava il suo spettacolo e ... passava alla cassa: un piatto di minestra, un po' di quello che era avanzato dalla cena e un bicchiere di vino.

Poi ringraziava col suo sorriso sereno e se ne andava.

All' Epifania faceva gli straordinari, vestendosi da Befana con tanto di scopa e sacco, andando su e giù davanti alle finestre concordate con mamma e papà.

Ovviamente noi bambini lo adoravamo, ma anche gli adulti gli volevano bene: le mamme usavano il suo nome come arma di bladinzie o di minaccia verso di noi.

E così il Comune, quasi a riconoscimento di meriti sociali (e perbacco se ne aveva...!!) gli concesse l' uso di un piccolo locale una volta adibito a magazzino, che lui arredò per bene anche con l' aiuto degli adulti.

Tutti eravamo contenti, proprio come nelle sue favole, fino a quando un giorno dovettero abbattere la porta di quel piccolo locale, perchè nessuno apriva.

Al funerale di quel Grande Barbone c'era tanta gente, e diversi adulti avevano gli occhi rossi: noi no.... per fortuna potevamo permetterci di piangere.