ALBERTO ATTOLINI

RADICI: BAMBINI


Dicono che i bambini sono uguali in tutto il mondo, ed è vero.

Però i bimbi dei paesi, specie quelli con poche risorse, hanno un’ espressione diversa dai loro amichetti di città: non perché questi ultimi siano dei tontoloni, anzi, ma generalmente hanno minori necessità di aguzzare l’ ingegno.

Questa differenza era ancora più marcata ai miei tempi, quando in paese gli adulti dovevano preoccuparsi anzitutto di far riprendere la regolarità della sopravvivenza giornaliera.

In questo contesto non è che ci abbandonassero, però: semplicemente ci lasciavano crescere in autonomia controllandoci da lontano: ma noi sapevamo e soprattutto sentivamo che non

c’ era nessun distacco, anzi, e che “il rifugio era sempre aperto”.

E così il nostro cervellino per sua fortuna era costretto a lavorare, mettendo in campo la fantasia, la capacità di arrangiarsi, la voglia di giocare e di vivere, ecc., che tutti i bimbi del mondo hanno, anche quelli sfortunati a cui vengono tolti i problemi ancor prima che si presentino, insieme alle esperienze appena dette.

Eravamo anche molto facilitati dalla libertà di spazio e di tempo che avevamo a disposizione, ma anche questo l’ ho capito dopo.

Comunque, qualunque fossero state le motivazioni, l’ infanzia mia e dei miei amichetti è stata

secondo il metro di oggi - un pochetto “severa” ma forse proprio per questo felice e sana: almeno io la ricordo così con piacere.

Oltre che per giocare a fare il pane con l’ impastatrice del forno, l’ attività dei miei genitori mi permetteva di essere tra i privilegiati, tra quelli che non avevano problemi a fare merenda. Però era troppo facile, non c’ era gusto… era più divertente andare con i compagni a procurarsela direttamente assaltando qualche albero di frutta che aveva il solo torto di star lì ad aspettare il contadino.

I giocattoli, poi: senz’ altro ne ho avuto anche altri, ma io ne ricordo soltanto due:

uno era il classico cavallino di legno con le ruotine piccole piccole e le zampe secche e dritte, che la mamma mi aveva regalato cercando di distrarmi quando mi hanno tolto le adenoidi;

l’ altro era … una massa di argilla e fango, che ai miei occhi di scultore era diventata un camion, e che papà infilò nel forno a cuocere: era il più bel giocattolo del mondo… ERA MIO !!!!

E i giochi ? C’ erano quelli tradizionali, magari solo chiamati diversamente: dal per noi famoso “esce Giacomo !!” (una specie di quattro cantoni su una gamba sola), al Giro d’ Italia, fatto con

i tappi delle bottiglie di gassosa riempiti di stucco, con il “tracciato” disegnato sulla strada. Eravamo tranquilli: in tutto il paese c’ erano solo DUE auto private e le corriere al mattino e alla sera, per il resto c’ erano le gambe e i birocci tirati dai buoi, mentre le biciclette erano riservate ai grandi, che però

dovevano anche fare i conti con i saliscendi della collina.

Poi c’ erano i giochi estemporanei, tutti “nostri”, che erano i più divertenti, anche nel ricordo: quello che mi piaceva di più consisteva nell’ aspettare che spiovesse e poi gareggiare per arrivare prima degli altri a quello stesso scolmatoio che serviva a Pasqua per la gara di rotolo delle uova, già descritto (in quanti modi la fantasia può utilizzare la stessa cosa !).

Ottenuta una buona posizione, ognuno di noi costruiva col fango una specie di diga, e nelle pozzanghere (non bestemmiamo… erano laghi !!!!) così ottenute si svolgevano epiche battaglie navali …… di collina e con i gusci delle noci.

E la raccolta nei prati del radicchio selvatico, fatta come gioco, ma poi offerto alle porte più vicine, in cambio di un’ altra offerta…

Villa allora aveva un piccolo cinemino della parrocchia, dove una volta alla settimana si radunava tutto il paese. E qui uscivano i professionisti della raccolta: non lontano c’ erano due peri enormi, che facevano delle perine piccole ma sugose e tanto buone.

Indovinate cosa si masticava tra un tempo e l’ altro….

Oggi il cinemino è ormai un piccolo rudere, e dei due enormi peri uno si è un po’ rinsecchito da qualche malattia, l’ altro invece è stato colpito da un fulmine. E pere non ne ho viste.

A giorni alterni, ad una certa ora ben precisa, i giochi si interrompevano quasi di colpo, senza bisogno di tante parole: era l’ ora del tosone.

Alzi la mano chi sa cos’ è il tosone !!

Per coloro che non lo sapessero è meglio partire dall’ inizio, dalla nascita del formaggio parmigiano-reggiano

Il casaro faceva bollire il latte cagliato in un enorme pentolone a punta, alto e lungo fino ad arrivare al fuoco giù in basso. Dopo aver continuamente mescolato per tutta la bollitura

- durante la quale si formano tanti pezzi di caglio che si solidificano addensandosi – con l’

aiuto di una specie di telo “pesca” quella che è diventata un’ unica e grossa palla bianca. Questa specie di mozzarella gigantesca veniva compressa a forza in contenitori di legno rotondi, larghi e bassi, sui quali viene posato un coperchio con sopra pesanti pietre per completarne la forma. Questa pressione causa la fuoriuscita del liquido eccedente, ma

soprattutto di “formaggio” ancora caldo e molle, che viene “tosato” da mani esperte, ottenendone dei grossi filamenti bianchi di grana neonato: ecco il tosone !!!

Dicevo che a quell’ ora tutti noi bambini eravamo già arrivati in processione al caseificio, a farcelo dare prima che arrivassero altri o che venisse sprecato.

Quei tempi li possiamo quindi chiamare anche “civiltà del tosone”.

Infatti adesso che stiamo vivendo un’ altra civiltà, la Sanità ha vietato la distribuzione del tosone, dicono “per ragioni igieniche”. Quando l’ ho saputo ci sono rimasto male, ma mi sono anche un po’ preoccupato: chissà quanti batteri ho ingerito in tutti quegli anni !!

E poi.. tutto quel latte acido che ci facevano bere per combattere (e guarire) intestino e fegato, chissà che danni mi avrà procurato !!

Meno male che oggi abbiamo la Nutella e le Merendine dei vari Mulini almeno andiamo sul sicuro: ce lo dice la Sanità !!

Allo stesso modo dovrei inorridire al pensiero di essermi lasciato andare ad accettare, con

gli occhi ridenti dei bimbi contenti, quelle indimenticabili fette di polenta del giorno prima (rigorosamente tagliate col filo ) abbrustolite sulla piastra della stufa, e in mezzo alle quali venivano piazzate a mò di sandwich: formaggio fuso, se per la cena; chicchi di uva appassita presi dai grappoli appesi ai travi della cucina, se per la merenda; burro e zucchero, se per la colazione: il massimo era intingere nel latte la fetta così farcita !!!

Poveri noi se allora ci fossero stati i NAS ! Quante multe e divieti !

Ma tra i tanti ricordi orali che la mamma mi ha lasciato di Villa non mi pare mi abbia mai parlato di epidemie intestinali, gastriti o mal di stomaco.